Sentenza n. 196 del 2022

SENTENZA N. 196

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, «seconda parte», del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), promosso dalla Commissione tributaria regionale della Toscana nel procedimento vertente tra l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Firenze e Heather Ann Pamela Mclaughlin, con ordinanza del 16 aprile 2019, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 16 aprile 2019 (reg. ord. n. 148 del 2021), la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, «seconda parte», del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) «nella parte in cui, in particolare, nel prevedere che il reddito dei canoni non percepiti dai soggetti che possiedono immobili a titolo di proprietà non concorre alla formazione del reddito, subordina detta previsione alla sola conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore».

Tale disposizione, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede che «[i] redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare».

1.1.– In punto di fatto la CTR rimettente riferisce di essere chiamata a decidere in ordine al ricorso proposto dalla contribuente Heather Ann Pamela Mclaughlin avverso l’avviso di accertamento ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e addizionali comunali e regionali emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate di Firenze, per l’anno di imposta 2010, in conseguenza dell’omessa dichiarazione del reddito di immobili concessi in locazione alla società Infinity Design srl.

In particolare, secondo quanto afferma il giudice a quo, il ricorso avrebbe dato atto che il 13 marzo 2014 la società locataria era stata dichiarata fallita e che «la stessa, evidentemente perché in stato di dissesto già negli anni precedenti, non aveva corrisposto durante il 2010 canone alcuno».

La CTR espone, poi, che avverso la sentenza di prime cure – che ha annullato l’avviso impugnato, in quanto emesso «in violazione del principio di “capacità contributiva” […] posto che la contribuente nel produrre in giudizio la documentazione relativa all’ammissione al passivo fallimentare della società conduttrice aveva dato prova della effettiva mancata percezione dei canoni di locazione» – l’Agenzia delle entrate ha interposto appello specificamente dolendosi dell’erronea applicazione del citato art. 26, comma 1, t.u. imposte redditi.

1.2.– In punto di diritto, il rimettente premette che, in forza della «seconda parte» della disposizione appena citata, il canone di locazione di immobili ad uso abitativo non effettivamente percepito non concorrerebbe a formare il reddito nel caso in cui la mancata riscossione derivi da morosità del conduttore accertata a seguito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto e che ciò costituirebbe una deroga a quanto stabilito dal periodo precedente, a mente del quale «[i] redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo».

In particolare, ad avviso del giudice a quo, la ragione della deroga sarebbe da ricondurre «all’accertamento giurisdizionale della morosità», che consentirebbe: a) di evitare allegazioni fraudolente delle parti circa la mancata percezione del canone; b) «di sollevare dall’obbligo della contribuzione tributaria chi con certezza, ed all’esito di un vero e proprio accertamento giurisdizionale, non ha riscosso un reddito».

Pertanto, sulla base di queste premesse interpretative, il rimettente conclude che l’art. 26, comma 1, t.u. imposte redditi, violerebbe gli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, Cost. nella parte in cui, stabilendo che il reddito derivante dai canoni non percepiti non concorre alla formazione del reddito complessivo, «subordina detta previsione alla sola conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore», anziché a tutte le ipotesi in cui «ve ne sia dimostrazione in sede giudiziaria».

La norma censurata, infatti, comporterebbe una disparità di trattamento sia nei confronti di chi, «non percependo alcun reddito, non corrisponde all’erario alcunché», sia nei confronti di chi – come nel caso della contribuente che qui interessa – «per motivi diversi dalla morosità del conduttore» non abbia comunque riscosso il canone, cosicché sarebbe chiamato «a concorrere alle spese pubbliche in ragione della (sua) capacità contributiva chi per tabulas (id est per fatto accertato in sede giudiziaria) detta capacità non la possiede».

1.3.– Ai fini della rilevanza, il rimettente afferma che «il giudizio […] non p[otrebbe] essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione».

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata dalla CTR della Toscana sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata.

2.1.– Preliminarmente l’interveniente, ricordata la formulazione dell’art. 26, comma 1, t.u. imposte redditi applicabile ratione temporis, dà comunque conto che essa, fra l’altro, è stata recentemente modificata dall’art. 3-quinquies del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, il quale stabilisce che, limitatamente ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, i canoni non percepiti non concorrono alla formazione del reddito ai fini dell’IRPEF sin dal momento dell’intimazione di sfratto o dell’ingiunzione di pagamento, senza quindi dover attendere la convalida dello sfratto stesso.

2.2.– Ciò premesso, la difesa statale rileva che la norma censurata subordina la non concorrenza del canone di locazione alla formazione del reddito complessivo a due condizioni: a) che si tratti di locazione di immobili ad uso abitativo; b) che sia concluso il procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.

Tanto chiarito, l’Avvocatura generale sostiene che la motivazione dell’ordinanza di rimessione sulla non manifesta infondatezza sarebbe incentrata solo sull’asserita illegittimità costituzionale della seconda delle due descritte condizioni, mentre «[n]essuna espressa denuncia viene invece sollevata» in relazione alla prima condizione, «ossia l’essere la deroga in esame esclusivamente riferita alle locazioni ad uso abitativo».

L’interveniente precisa poi che, «[n]el caso in esame, peraltro, risulta pacifica la circostanza che la locazione oggetto del giudizio principale era di tipo commerciale e non ad uso abitativo» e che «[q]uesta importante e non contestata circostanza fattuale» comporterebbe «l’irrimediabile inammissibilità della questione».

Più in particolare, a parere della difesa statale, ove si ritenesse che la richiesta del rimettente sia finalizzata a un intervento additivo che estenda la portata della norma alle altre ipotesi di accertamento giudiziale diverse da quello compiuto in sede di convalida di sfratto per morosità, la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza, posto che, nella specie, la natura commerciale della locazione in ogni caso osterebbe all’applicazione di tale addizione, perché questa rimarrebbe limitata alle locazioni di immobili ad uso abitativo.

Diversamente, qualora si assumesse che il petitum non solo auspichi di attingere al risultato appena detto, ma implicitamente miri anche a estenderne gli effetti ai contratti di locazione di immobili diversi da quelli ad uso abitativo, la questione sarebbe inammissibile per assoluto difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, atteso che non sarebbe stata spesa «neppure una parola» per spiegare le ragioni di illegittimità costituzionale di tale specifica condizione (a sostegno è citata l’ordinanza di questa Corte n. 318 del 2004).

2.3.– Sotto un distinto profilo, secondo l’Avvocatura generale, la questione sarebbe comunque inammissibile per difetto di rilevanza o comunque, anche in questo caso, per insufficiente motivazione sulla stessa.

A fondamento di tale eccezione l’interveniente premette che con la sentenza, interpretativa di rigetto, n. 362 del 2000, emessa in relazione alla disciplina dei redditi fondiari prima dell’emanazione della norma censurata, questa Corte avrebbe affermato che il riferimento al canone di locazione (anziché alla rendita catastale) verrebbe meno solo al momento della cessazione del rapporto di locazione, da individuarsi, oltre che nella conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto, in tutte le ipotesi a essa equipollenti, come la scadenza del termine (art. 1596 del codice civile), ovvero qualsiasi causa di risoluzione del contratto (artt. 1454 e 1456 cod. civ.).

Pertanto, rilevato che, ai sensi dell’art. 80, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), il rapporto locatizio non si scioglie automaticamente a seguito della declaratoria di fallimento del conduttore, la difesa statale sostiene che il rimettente non avrebbe considerato che «il mero fallimento» non è «assimilabile alle ipotesi di cessazione del rapporto locatizio enucleate dalla Corte» o alla conclusione del procedimento di convalida di sfratto, di cui alla seconda parte del comma 1 dell’art. 26 t.u. imposte redditi.

2.4.– L’Avvocatura argomenta poi la non fondatezza della questione in relazione a entrambi gli evocati parametri costituzionali.

Secondo la difesa statale, la previsione per cui il contribuente sarebbe obbligato a dichiarare anche i canoni relativi alle mensilità non corrisposte non sarebbe lesiva del principio di capacità contributiva.

Tale disciplina, seppure nella sua previgente formulazione, avrebbe difatti già superato, sotto tale profilo, il vaglio di legittimità costituzionale in occasione della citata sentenza n. 362 del 2000 e, in ogni caso, andrebbe considerata l’ampia discrezionalità da sempre riconosciuta da questa Corte al legislatore tributario nell’individuazione degli indici di capacità contributiva.

Anche quanto all’asserita violazione dell’art. 3 Cost., poi, la difesa statale riproduce ampi stralci della motivazione della suddetta pronuncia al fine di contestare l’assunto del rimettente per cui la norma censurata determinerebbe una disparità di trattamento nei confronti di chi – in ipotesi diverse dalla convalida di sfratto per morosità del conduttore – non riscuote alcun canone di locazione.

Sarebbe piuttosto la addizione auspicata dal rimettente a determinare «una grave ed ingiustificata discrasia nel sistema», introducendo, «per i soli redditi derivanti da immobili locati, un criterio completamente diverso da quello operante per i redditi fondiari relativi ad immobili non locati, per i quali la regola generale – come visto – è incentrata sulla irrilevanza della concreta percezione».

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 16 aprile 2019 (reg. ord. n. 148 del 2021), la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, «seconda parte», del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) «nella parte in cui, in particolare, nel prevedere che il reddito dei canoni non percepiti dai soggetti che possiedono immobili a titolo di proprietà non concorre alla formazione del reddito, subordina detta previsione alla sola conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore».

Tale disposizione, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede che «[i] redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare».

Il giudice a quo riferisce di dover decidere in ordine al ricorso proposto da una contribuente avverso l’avviso di accertamento ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e addizionali comunali e regionali emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate di Firenze, per l’anno di imposta 2010, in conseguenza dell’omessa dichiarazione del reddito di immobili concessi in locazione alla società Infinity Design srl, dichiarata fallita il 13 marzo 2014, la quale, «evidentemente perché in stato di dissesto già negli anni precedenti, non aveva corrisposto durante il 2010 canone alcuno».

In punto di rilevanza, il rimettente afferma che «il giudizio […] non p[otrebbe] essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione».

Quanto alla non manifesta infondatezza, la CTR premette che la «seconda parte» del comma 1 dell’art. 26 t.u. imposte redditi costituirebbe una deroga al primo periodo del medesimo comma, ai sensi del quale «[i] redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo», e sostiene che la ragione della deroga sarebbe da ricondurre «all’accertamento giurisdizionale della morosità», che consentirebbe: a) di evitare allegazioni fraudolente delle parti circa la mancata percezione del canone; b) «di sollevare dall’obbligo della contribuzione tributaria chi con certezza, ed all’esito di un vero e proprio accertamento giurisdizionale, non ha riscosso un reddito».

Da tale premessa discenderebbe che l’art. 26, comma 1, t.u. imposte redditi violerebbe gli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, Cost., nella parte in cui consente che i canoni non percepiti non concorrano alla formazione del reddito complessivo solo in caso di conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore e non anche «tutte le volte in cui il contribuente non riscuota il canone/reddito e ve ne sia dimostrazione in sede giudiziaria».

La norma censurata, infatti, comporterebbe una disparità di trattamento sia nei confronti di chi, «non percependo alcun reddito, non corrisponde all’erario alcunché», sia nei confronti di chi – come nel caso che qui interessa –, «per motivi diversi dalla morosità del conduttore», non abbia comunque riscosso il canone, sicché sarebbe chiamato «a concorrere alle spese pubbliche in ragione della (sua) capacità contributiva chi per tabulas (id est per fatto accertato in sede giudiziaria) detta capacità non la possiede».

2.– All’esame dell’ordinanza occorre premettere una pur sintetica illustrazione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, nel cui ambito si è verificata, a partire da un determinato momento, un’asimmetria nella disciplina tributaria dei canoni non riscossi, a seconda che questi siano relativi a contratti di locazione di immobili ad uso abitativo o ad uso diverso (ovvero, in senso lato, commerciale).

2.1.– Il primo periodo del comma 1 dell’art. 26 t.u. imposte redditi sancisce la regola generale per cui i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla loro percezione.

Per tale categoria reddituale, infatti, il presupposto dell’imposta deriva dal possesso di un immobile: a) qualificato da un titolo di appartenenza (proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale); b) situato nel territorio dello Stato; c) iscritto, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano.

In linea di principio, dunque, la determinazione dei redditi fondiari avviene nell’ottica tipica del catasto, ovvero in modo medio ordinario mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo stabilite dalla legge catastale, finalizzate ad apprezzare la potenzialità reddituale del bene immobile.

Per gli immobili locati, il legislatore ha però nel tempo introdotto una diversa disciplina di determinazione del reddito fondiario, prevedendo l’assoggettamento a tassazione del valore più elevato tra il canone di locazione risultante dal contratto, ridotto di una certa percentuale, e la rendita catastale.

Tale criterio, se ha reso più vicina all’effettività la quantificazione dell’imponibile, non ha però alterato quella logica di un’imposizione a carattere virtuale o figurativo, che tradizionalmente caratterizza l’intera categoria dei redditi fondiari.

Attraverso il riferimento alla maturazione del credito ex contractu è stato, infatti, introdotto un diverso indice per misurare la potenzialità economica, ma è rimasto in ogni caso valido – sino alla più recente evoluzione per le locazioni di immobili ad uso abitativo che si descriverà al punto successivo – il principio generale per cui i redditi fondiari concorrono «indipendentemente dalla percezione» a formare il reddito complessivo; pertanto, in tale logica, la morosità del conduttore non costituisce un elemento idoneo a far venire meno l’obbligo per il locatore di indicare nella dichiarazione annuale dei redditi il canone annuo pattuito e di corrispondere la relativa imposta.

Solo le varie fattispecie di risoluzione del contratto, così come chiarito in via interpretativa dalla sentenza n. 362 del 2000 di questa Corte, determinano il venir meno del riferimento al reddito locativo e fanno tornare in vigore la regola generale della tassazione sulla base della rendita catastale.

2.2.– Rispetto a questa disciplina, che si applicava indistintamente agli immobili sia ad uso abitativo, sia commerciale, l’art. 8, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), ha dato luogo a una vera e propria soluzione di continuità.

Ha infatti aggiunto al comma 1 dell’art. 23 t.u. imposte redditi – ora 26 a seguito della rinumerazione operata dall’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344 (Riforma dell’imposizione sul reddito delle società, a norma dell’articolo 4 della legge 7 aprile 2003, n. 80) – due periodi in cui si dispone che «[i] redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare».

Si tratta di una evidente deroga al tradizionale principio che caratterizza i redditi fondiari, perché stabilisce, ma solo per le locazioni di immobili ad uso abitativo, che la mora debendi del conduttore, se accertata dal giudice attraverso la procedura ex artt. 658 e seguenti del codice di procedura civile, fonda il riconoscimento di un credito d’imposta per i canoni non percepiti, ancorché resti, di per sé, impregiudicato il diritto alla percezione del canone pattuito in base al contratto.

Tale significativa novità – che attraverso un accostamento al principio di cassa attribuisce rilievo al momento della percezione dei canoni – non ha quindi riguardato tutte le locazioni: per quelle relative agli immobili ad uso commerciale è, infatti, rimasto fermo il metodo figurativo di imposizione, con la conseguenza che i canoni da locazione concorrono «indipendentemente dalla percezione» a formare il reddito complessivo.

Va peraltro ricordato che tale novella è stata oggetto di numerose critiche da parte della dottrina, laddove stabilisce una diversità di trattamento tra le diverse tipologie di locazioni.

2.3.– Da ultimo, va rilevato che la Corte di cassazione ha reiteratamente affermato che, dato il tenore della norma, la suddetta deroga non può essere estesa ai contratti di locazione ad uso non abitativo, ovverosia destinati ad uso ufficio e ad uso commerciale: il criterio di imputazione del reddito di locazione in questi casi prescinde, dunque, dalla effettiva percezione dei canoni (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 18 gennaio 2012, n. 651; più recentemente, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 14 aprile 2022, n. 12254).

2.4.– A completamento del quadro normativo, va infine segnalato che di recente l’asimmetria tra locazioni di immobili ad uso abitativo e ad uso commerciale, quanto a criterio di imputazione dei redditi di locazione, si è ulteriormente accentuata, perché per i primi si è previsto che i canoni non percepiti non concorrono a formare il reddito laddove la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento (art. 26, comma 1, seconda parte, t.u. imposte redditi, come modificato dall’art. 3-quinquies, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante «Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi», convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58).

Per quanto qui rileva, va però precisato che, in ogni caso, tale disciplina chiaramente non è applicabile nel giudizio a quo, dal momento che, tra l’altro, per effetto dell’art. 6-septies, comma 2, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69, essa concerne esclusivamente i «canoni derivanti dai contratti di locazione di immobili non percepiti a decorrere dal 1° gennaio 2020».

3.– Quanto sopra premesso consente ora di passare in disamina le prime due eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio in rappresentanza e a difesa del Presidente del Consiglio dei ministri.

3.1.– La difesa statale assume che la motivazione dell’ordinanza di rimessione sulla non manifesta infondatezza sarebbe incentrata solo sulla limitazione del regime derogatorio previsto dalla norma censurata alla mancata percezione dei canoni accertata all’esito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore, mentre «[n]essuna espressa denuncia viene invece sollevata» in relazione alla limitazione di tale disciplina alle sole locazioni di immobili ad uso abitativo.

E a ciò aggiunge che «[n]el caso in esame, peraltro, risulterebbe pacifica la circostanza che la locazione oggetto del giudizio principale era di tipo commerciale e non ad uso abitativo».

Da qui, a parere dell’interveniente, ove si ritenesse la richiesta del giudice a quo finalizzata a un’addizione relativa alle ipotesi di accertamento giudiziale diverse da quella contemplata dalla norma censurata, l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, posto che, nella specie, in ogni caso la natura commerciale della locazione osterebbe all’applicazione della deroga alla fattispecie in esame.

Diversamente – prosegue l’Avvocatura generale – qualora si assumesse che il petitum, non solo auspichi detto risultato, ma implicitamente miri anche a estenderne gli effetti ai contratti di locazione diversi da quelli ad uso abitativo, la questione sarebbe inammissibile per assoluto difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, atteso che non sarebbe stata spesa «neppure una parola» per spiegare le ragioni di illegittimità costituzionale di tale specifica condizione.

4.– Le eccezioni sono fondate nei termini di seguito illustrati.

4.1.– Va innanzitutto chiarito che il rimettente ambisce a un’estensione del regime derogatorio dettato dalla seconda parte del comma 1 dell’art. 26 t.u. imposte redditi «tutte le volte in cui il contribuente non riscuota il canone/reddito e ve ne sia dimostrazione in sede giudiziaria».

Nel formulare tale ampio petitum, tuttavia, il rimettente non offre sufficienti elementi sulla fattispecie sottoposta al suo esame e omette del tutto di confrontarsi con la parte del censurato art. 26 che limita la deroga da esso prevista ai soli contratti di locazione ad uso abitativo, senza prendere in alcun modo in considerazione quella singolare asimmetria rispetto ai contratti di locazione ad uso non abitativo che, come si è descritto in precedenza, ha caratterizzato lo sviluppo dell’ordinamento.

Sono tali lacune che depongono a favore della fondatezza delle eccezioni sollevate dall’Avvocatura generale, che sarebbero state invece superabili qualora: a) l’ordinanza avesse chiarito (recte: avesse potuto chiarire) che nella fattispecie si trattava di un contratto di locazione ad uso abitativo, oppure b) avesse, appunto, esplicitamente dedotto una violazione del principio di uguaglianza per la discriminazione tra tipologie di contratti di locazione di immobili.

Sul primo punto, invece, l’ordinanza non offre alcun chiarimento e sul secondo, come rilevato dall’Avvocatura, non spende «neppure una parola».

Quanto alla tipologia di contratto che viene in rilevo nel giudizio a quo, peraltro, va precisato che, diversamente da quanto sostenuto dall’interveniente, la circostanza che si tratti di una locazione ad uso diverso dall’abitativo non è «pacifica», stando al tenore dell’atto di promovimento: tale elemento, infatti, non può con certezza desumersi dal fatto che il conduttore sia una srl, poiché ciò non osterebbe, in linea di massima, alla stipula di un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo. Piuttosto, è il silenzio dell’ordinanza a risultare decisivo.

4.2.– La questione è pertanto inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.

Il che impedisce evidentemente di esaminare nel merito il profilo della omessa assimilazione, ai fini dell’applicazione della disciplina derogatoria, della «conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore» a tutte le altre ipotesi in cui «ve ne sia dimostrazione in sede giudiziaria».

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, «seconda parte», del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2022.